Danny Irreparabili

Racconto di Natale

Meglio di così la serata non poteva andare: ottomila paganti su ottomila presenti, compreso l'onorevole Vittorio Sgarbi con un rumoroso seguito di baldracche, George Weah col pallone d'oro sottobraccio e il Sindaco in persona corredato di fascia tricolore e Giunta comunale al gran completo. E tutto questo nonostante le duecentomila lire del biglietto d'ingresso, a dispetto delle tre ore mediamente necessarie per riuscire a entrare nel locale, col rischio poi di essere cacciati da Minosse Gucci, impassibile capo del servizio d'ordine capace di individuare con l'olfatto plebei e servi della gleba. Il locale era il mitico Parapiglia, la discoteca più "in" della metropoli balneare, dove solitamente si ballava - a turni di quarantacinque minuti - una esplosiva miscela trance-hard-underground con vista lisergica dall'alto del prestigioso colle di Collignano.

Rudi, detto Rudi, lavorava per il Parapiglia da circa due anni: entrato in forza al locale come raccattabicchieri, riuscì a bruciare tutte le tappe della scala gerarchica in tempo record: dopo due sabati era già cameriere semplice, poi cameriere con auricolare, cameriere con spiedini di frutta, maitre con bottiglia di Ferrari, Public relations man, P.R. con lista, P.R. con apparizione di cherubini, direttore di sala, infine Art Director Supremo con potere di vita e di morte su tutto il personale del locale. Sua fu l'idea di demolire completamente il Parapiglia per organizzare il Sarajevo Party, per non parlare della successiva riedificazione, ovviamente su suo progetto, a immagine e somiglianza del deposito di Zio Paperone ma con interni in stile Tardo Barocco. La mente vulcanica di Rudi diede vita anche alle feste più memorabili della Riviera, come il Parto Party, dove venti puerpere diedero alla luce altrettanti bambini in mezzo alla pista, o il Nutella Party, quando una betoniera della Ferrero riempì la discoteca di cioccolato sotto gli occhi estasiati dei presenti che vi sguazzarono fino all'alba.

Per quella sera, che era poi la vigilia di Natale, Rudi aveva deciso di non badare a spese: nel parcheggio era stata piantata una sequoia californiana addobbata con mongolfiere e dirigibili, le ragazze immagine ballavano vestite da Babbo Natale, nel privee era stato allestito un presepe vivente con tanto di pecore vere, cammelli veri e un suggestivo ruscello ottenuto da settanta metri quadri di carta stagnola. Alle due in punto Rudi fece il suo ingresso trionfale insieme al proprietario del locale e al ballerino di colore Steve, tutti e tre travestiti da Re Magi, lanciando sulla folla in delirio panettoni placcati d'oro e torroni con Rolex al posto delle mandorle. Alle sette del mattino tutto era finito. Rudi raggiunse a grandi passi la sua Megasubishi quarantotto valvole nel parcheggio ormai deserto, sciolse i lunghi capelli neri, inforcò gli occhiali da sole e piazzò il cellulare nell'alloggiamento del cruscotto. Gesti ormai abituali, che per la prima volta in due anni fu costretto a compiere in perfetta solitudine: rimuovere il trucco utilizzato per la mascherata dei Re Magi richiese più tempo del previsto, e una volta uscita dal camerino Rudi non trovo né una ballerina, né una barista, né una donna delle pulizie disposta a "farsi accompagnare a casa".

Il poderoso dodici cilindri della Megasubishi tossicchiò, ansimò, fece pure un paio di rutti ma non ne volle sapere di avviarsi; al contrario cominciarono a prendere vita prima i tergicristalli, poi l'antifurto, le quattro frecce, si gonfiarono entrambi gli airbag e lo stereo, a massimo volume, si sintonizzò su Radio Maria. Rudi, atterrito, scese dall'auto e da una distanza di sicurezza osservò per qualche minuto quella diavoleria giapponese che sembrava la succursale del Parapiglia: fino a quando si spense tutto e un bagliore accecante invase lo spiazzo, accompagnato da un fumo denso, bianco e stranamente profumato. Quando Rudi riacquistò l'uso della vista uno spettacolo meraviglioso riempì i suoi occhi increduli: un Microtac gigante, alto più o meno come la sequoia di Natale, levitava a due metri da terra immerso in un silenzio irreale, con l'enorme antenna protesa verso il cielo e l'inconfondibile batteria slim che emanava mute scariche ora azzurrognole, ora verdi. Lentamente lo sportello del telefonone si aprì, diventando una rampa sulla quale - tra il fumo - si materializzò indefinita una figura umana. Rudi si accorse di non potere gridare, né correre, e rigido alla base della rampa, le braccia lungo i fianchi e la bocca aperta, attese il suo destino che gli stava venendo incontro.

Quando il misterioso essere si trovò a poco più di un metro da lui, Rudi capì che si trattava di una ragazza: la ragazza più bella che avesse mai visto, più bella di tutte le ballerine del Parapiglia messe insieme, vestita di morbidi e bianchi veli che ondeggiavano al soffio di una brezza silenziosa proveniente dal telefonone.
"Lascia che mi presenti, terrestre" esordì la creatura, "sono la Principessa Nokkia Motorolla, discendente diretta di Sua Maestà Imperiale Nichel Cadmio Primo nonché erede designata al trono del pianeta Telekom. Mi trovo sul vostro piccolo mondo in veste di ambasciatrice, col preciso incarico di consegnare questo dono a chi, tra voi terrestri, avesse dimostrato di meritarlo maggiormente. E la mia scelta è caduta su di te."
Senza aggiungere altro, Nokkia porse a Rudi un anonimo cofanetto di pelle nera. Il giovane riuscì a staccare le braccia dal corpo, afferrò tremando l'oggetto e abbozzò il sorriso più idiota della sua vita. Prima ancora che Rudi riuscisse a rintracciare nel suo cervello quattro parole per mettere insieme una frase adatta alla circostanza, Nokkia Motorolla era già rientrata nella sua astronave cellulare, i cui pulsantoni erano in realtà altrettanti oblò nei quali si potevano intravedere creature uguali in tutto e per tutto alla principessa. Lo sportello si richiuse e - silenziosa come quando era arrivata - l'astronave riprese velocissima la via delle stelle. A Rudi non restava che lo stupore, un fortissimo mal di testa e un misterioso cofanetto nero.

Una volta risalito in macchina e dopo aver ripiegato alla bell'e meglio gli airbag, Rudi aprì il contenitore e vi trovò nientemeno che... un telefono cellulare!
"E cosa me ne faccio di questo? Ne ho già cinque di questi aggeggi: un ETACS, un GSM, un satellitare, uno collegato al fax e uno finto per quando non voglio essere disturbato! Boh, metterò anche questo nella collezione!"
Ma proprio mentre l'apparecchio stava per finire nel portaoggetti dell'auto, tra kleenex, profilattici e biglietti riduzione del Parapiglia, l'attenzione di Rudi fu attirata da un piccolo particolare: il telefono donatogli dalla principessa Nokkia era completamente privo di pulsanti, microfono e display. Solo l'antenna e l'altoparlante, neanche un marchio o un libretto di istruzioni, foss'anche in giapponese. Rudi andò molto vicino all'infarto quando il cellulare cominciò a squillare, con un suono del tutto simile a quello dei telefoni terrestri.
"Pronto!" disse istintivamente il giovane in un microfono che non c'era. E udì, forti e chiare, le voci dei suoi genitori che parlavano tra loro:
"Io quel disgraziato lo diseredo! Lo butto fuori di casa a calci! Trent'anni compiuti e l'unica cosa che sa fare bene è spillarmi cinque milioni al mese dal bancomat!"
"Dai, Giovanni, calmati, è solo un ragazzo, gli piace divertirsi, vedrai che nel giro di qualche mese metterà la testa a posto e verrà a darti una mano in ditta..."
"Una mano un corno! Non ha voluto studiare, non vuole lavorare, ci tratta come servi e oltretutto ci lascia i conti da pagare nei negozi più costosi della città! Ma vedrai, Anna, se prima o poi non lo ammazz..."
Pallido, sudato, Rudi interruppe la comunicazione.

La Megasubishi si avviò prontamente al primo giro di chiave. Rudi, ancora sotto shock, guidava guardando alternativamente la strada e l'infernale telefonino, appoggiato sul sedile destro. All'altezza dello spiazzo dell'Omicida, il cocomeraio più famoso della metropoli, accadde l'inevitabile: l'apparecchio prese nuovamente a suonare. Questa volta la conversazione era tra due ragazze, e Rudi non faticò molto a riconoscere nelle voci quelle di due delle sue ottocentoventi conquiste.
"Ciao Chicca, sono la Giusy! Allora, com'è andata col deficiente, l'altra sera?"
"Deficiente, lo chiami? Rudi è un maniaco cerebroleso! Sulle prime piace perché è bello, alto, abbronzato, ha i capelli lunghi e una bella macchina: ma è intelligente come un bradipo e sa parlare solo di soldi, oltre tutto con quella erre moscia fasulla che non sopporto proprio. Come se non bastasse, ti porta subito nella sua villetta a Collignano e se non ci stai è anche capace di lasciarti a piedi. Un disastro! E poi io sono stufa di questi Dongiovanni da strapazzo: voglio un uomo che mi rispetti, anche povero ma capace di farmi sentire importante, e che soprattutto sia in grado di pensare al futuro. Io quel Rudi non lo voglio più vedere."

Ormai le chiamate si susseguivano senza sosta. Questa volta era il proprietario del Parapiglia che parlava col direttore del personale.
"Lo sai qual'è la mia rovina? Quel Rudi maledetto: non posso licenziarlo perché solo grazie all'interessamento di suo padre sono riuscito ad avere quel finanziamento che mi ha salvato dalla chiusura. Lo sai che solo l'idea della sequoia mi è costata quasi trecento milioni? Per non parlare della pensata del deposito di Zio Paperone, che ha fatto ridere gli architetti di mezza Europa. Il locale ora va bene, ma se tutti i sabati facciamo il pienone il merito non è certo di Rudi!"
All'altezza del Cavalcavia Incompiuto sulla via Marecchina ci fu un'altra chiamata, poi un'altra a Viserbuccia, e un'altra ancora a Torre Pedrolla. Il tono delle conversazioni era più o meno sempre lo stesso e Rudi non poteva intervenire, né controbattere. Solo ascoltare e pensare. Alla dodicesima telefonata fermò la Megasubishi in un'area di sosta, scese e - gli occhi persi nel vuoto - si incamminò verso la metropoli. Aveva capito tutto.

Lontano dai bagliori del Colle di Collignano, San Silvestro era davvero una festa per i poveri della città. La Caritas aveva allestito una frugale cena di Capodanno, a costo di grossi sacrifici e grazie solo al contributo dei volontari. Anziani ed extracomunitari, barboni e diseredati attendevano, allineati in una coda ordinata e silenziosa, la loro razione di calore umano. La vecchina alzò lo sguardo verso il giovane dai capelli rasati che le stava riempiendo il piatto di pasta: e, accarezzandogli la mano, sussurrò: "Dio ti benedica, figliolo!"

Una lacrima solcò il viso dell'uomo, che si affrettò ad asciugarla con un lembo della sciarpa. Era, quella, la prima volta che Rudi piangeva per una donna.


Dr. Danny Irreparabili.